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Non puoi risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato.
Albert Einstein


Se vuoi essere universale, parla del tuo villaggio.
Lev Tolstoj


Lei è all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi.
Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là.
Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai.
A cosa serve l'UTOPIA?
Serve proprio a questo: a camminare.
Eduardo Galeano


sabato 11 giugno 2016

“DEVIAZIONE OBBLIGATORIA”: FRENARE L’AUTO PRIMA DEL CRASH FINALE.



La metterò giù dura, perché è la situazione raggiunta che ci costringe a farlo.

L’automobile, a seguito della sua onnipresenza, se non la prima, è tra le principali fonti di inquinamento atmosferico, acustico e del suolo, specialmente nelle aree urbane, ed è quindi responsabile della diffusione sempre più grave di malattie di ogni genere da quelle cardio-respiratorie fino a tumori e cancro.

L’automobile contribuisce da protagonista al dissesto idrogeologico ed al disastroso aumento delle temperature globali non solo con l’emissione di gas clima-alteranti ma anche con la progressiva e costante asfaltatura, cementificazione e quindi impermeabilizzazione del territorio che la sua presenza comporta per fare posto a strade, svincoli, parcheggi, rotatorie e simili.

L’automobile non risolve i problemi della mobilità soprattutto in ambito urbano, com’è dimostrato da innumerevoli studi e statistiche. La velocità media rilevata in città è inferiore a quella della bicicletta e spesso anche dello spostamento a piedi. Aumentare gli spazi ad essa dedicati (strade, parcheggi, multipiano, garage, ecc.) se all’inizio sembrerà risolvere il problema della congestione del traffico, ben presto contribuirà ad aggravarli perché verranno rapidamente riempiti tutti e ne serviranno, inutilmente, degli altri, in una spirale perversa senza fine.

L’automobile occupa prepotentemente gli spazi pubblici sottraendoli alla socialità ed all'incontro personale e collettivo come ad altre forme sane di mobilità. Deturpa i centri storici e i luoghi d'arte e storia del tutto inadatti alla sua presenza. La stragrande percentuale del territorio urbano è concepita, dedicata e riservata alle macchine, al loro transito o alla loro sosta. Le città vivono in loro funzione e si piegano alle loro esigenze.

L’automobile uccide, più dei cataclismi "naturali", più delle "morti bianche" sul lavoro (alle quali spesso si sovrappone), più del terrorismo. Ovunque, ogni giorno. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima ogni anno un numero di morti nell’intero pianeta di circa 1 milione e duecentomila con i feriti che variano tra i 20 e i 50 milioni. Una carneficina colpevolmente sottaciuta (pecunia non olet) che viene generalmente considerata quasi un doveroso tributo al “progresso”(!?).

L’automobile rovina le relazioni sociali, isola dall’ambiente circostante, rende aggressivi, maleducati e noncuranti degli altri, soprattutto di chi a piedi o in bicicletta condivide gli stessi spazi ma da posizioni di molta maggiore vulnerabilità.

L’automobile nuoce gravemente ai bambini che non hanno più spazi per giocare in strada ed anzi sempre di più sono costretti dai genitori, per motivi di sicurezza, a non uscire a piedi o in bici e per questo vengono scarrozzati da un posto all’altro con la macchina, peggiorando così ulteriormente la situazione. L'ingorgo di automobili con i motori accesi davanti all’uscita delle scuole è uno spettacolo raccapricciante.

L’automobile, oltre alle gravi patologie che diffonde, alimenta sedentarietà e mancanza di movimento, aumentando di conseguenza tutta un’altra serie di problemi fisici (aumento di peso, mal di schiena, scorrettezze posturali, mancanza di ossigenazione, ecc.).

L’automobile, con la propaganda asfissiante in favore del suo “modello di vita” (bombardamento continuo di spot e campagne pubblicitarie in tv, alla radio, sulla stampa, sul web) deforma il nostro modo di pensare portandoci a ragionare come se fossimo costantemente alla guida e sempre in ossequio a chi lo sta facendo, come quando ringraziamo l’automobilista che ci fa passare sulle strisce pedonali senza travolgerci, bontà sua.

Ci sarebbe molto altro da dire su un vero e proprio "sistema" che spesso assume i connotati di una "religione" che non ammette dubbi, ma quanto esposto basta e avanza per indurci a cambiare radicalmente strada.

Non è più rinviabile il radicale ripensamento di un modello che giorno dopo giorno si dimostra fallimentare sotto tutti i punti di vista e occorre indirizzarsi verso altre forme di mobilità e di socialità che recuperino non solo la vera essenza della persona umana ma che dimostrano di essere molto più utili allo scopo di muoversi in sicurezza, tranquillità ed efficienza.

Ma siccome quest’uso smodato e inutile dell’auto è un fatto prevalentemente privato, ognuno di noi può, ma ormai deve, fare subito qualcosa per cambiare le proprie abitudini inveterate

Si può iniziare con una bella camminata per andare in centro o al lavoro, se la distanza non eccessiva lo consente (ma vedrete che la stessa cognizione di “eccessivo” varierà con la pratica), o si potrà rimettere a posto la vecchia bicicletta che prende polvere in soffitta. Piano piano la novità diventerà consuetudine con un sicuro aumento del benessere personale e collettivo.

Poi certo occorrerà la coninua collaborazione dell’Amministrazione Comunale che dovremo sempre pretendere per sostenere, potenziare e incentivare le forme di trasporto pubblico, collettivo o condiviso e per accrescere gli spazi dedicati esclusivamente a pedoni e bici.

Ci siamo mobilitati in decine di miglialia in questi anni contro le più svariate forme di inquinamento che ci venivano inflitte dall’alto o dall’esterno (un caso per tutti l'entusiasmante battaglia vinta per fermare la piattaforma petrolifera “Ombrina Mare” in Abruzzo) e non facciamo niente per ostacolare un quotidiano attacco alla salute di cui siamo noi stessi corresponsabili? Pozzi, trivelle e guerre per il petrolio si fanno anche e soprattutto per riempire i nostri serbatoi.

Il percorso, lo so, non è per niente facile perché si scontra con pressioni, abitudini, interessi e formazioni mentali consolidate nei decenni, ma oggi più che mai è diventato una “deviazione obbligatoria” che dobbiamo imboccare per evitare il crash finale.

Buon viaggio a tutti noi.

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